La discontinuità territoriale – Editoriale di Aldo Berlinguer, ne L’Unione Sarda

La discontinuità territoriale

L’epilogo, per Alitalia, è arrivato. Alla fine di una lunga storia iniziata il 16 settembre 1946 quando l’allora Alitalia-Aerolinee Internazionali Italiane venne fondata a Roma e poi fusa con l’altra società dell’IRI, Linee Aeree Italiane.

La società restò pubblica per quasi cinquant’anni, crescendo a dismisura e maturando ingenti diseconomie, fino a quando, negli anni novanta, si cominciò a guardare (con sospetto) al mercato, facendo fallire la fusione con KLM.

Solo nel 2009 si è così giunti ad una –almeno apparente- privatizzazione: quando i capitani coraggiosi di CAI (Compagnia Aerea Italiana) acquistarono gli assets di Alitalia-LAI. Le cose però non migliorarono e a luglio 2014 venne in soccorso Poste Italiane, col 20% del capitale.

Nel 2015 altra capriola: la good company viene conferita in una nuova società col 51% della neonata Alitalia-SAI; il 49% tocca ad Etihad Airlines. Ma i guai non finiscono e neppure i prestiti con danaro pubblico, mai rimborsati.

Il 2 maggio 2017 Alitalia entra in amministrazione straordinaria: fuori Etihad, dentro un altro prestito-ponte di 900 milioni di euro, mentre il Ministero nomina tre nuovi managers con emolumenti da capogiro. Tocca poi alle Ferrovie dello Stato venire in soccorso di Alitalia, mentre Delta Airlines fa un giro in passerella. Nasce quindi il matrimonio tra gli Aeroporti di Roma (Atlantia), la rete ferroviaria (FSI tramite RFI), gli aerei, i treni e gli autobus (Alitalia, Trenitalia, Busitalia) quando la UE, da anni, impone la separazione tra servizio e infrastruttura.

Più tardi arriva il Covid-19, l’economia dei trasporti precipita, interviene lo Stato e si ricorre alla nascita di ITA (Italia Trasporto Aereo) che acquista asset e personale necessari ad iniziare la nuova avventura (il 15 ottobre prossimo) mentre ciò che resta di Alitalia viene posto in liquidazione, con le solite, ingenti perdite a carico di contribuenti e fornitori. Il marchio (ma anche handling, manutenzione e Millemiglia) resta invece “appeso” ad una procedura di gara che potrebbe aggiudicarlo a Ryanair. Del resto la Commissione UE aveva più volte chiesto discontinuità tra vecchia e nuova gestione. E sia: Ryanair arriverebbe a volare con il nostro tricolore. Tanto per non disorientare i passeggeri. Tutto il resto resta come prima.

Si aggiunga che all’inizio ITA opererà con 52 aeromobili per crescere, nel 2022, sino a 78. Questo, almeno, in base ad un piano economico-finanziario che prevede un investimento di 9 miliardi di dollari: altro libro dei sogni da propinare alla comunicazione.

E se fosse pure? Dove va ITA con 78 aerei quando Air France-Klm ne ha 573 (di cui 173 di lungo raggio), Lufthansa 218 (di cui 80 di lungo raggio), British Airways 263 (di cui 90 di lungo raggio)? Tra l’altro, negli ultimi anni, questi tre vettori hanno incrementato i voli verso Londra, Parigi, Francoforte e Monaco da molti aeroporti italiani con tariffe agevolate, accaparrandosi così, da quegli hub, i ben più remunerativi voli intercontinentali.

Nelle scorse settimane ITA ha ottenuto il certificato di operatore aereo (Coa) e la licenza di esercizio. Ma la strada per le autorizzazioni sui voli intercontinentali (Etops) e dagli ordinamenti stranieri è lunga. Occorre inoltre addestrare i piloti, ancora neppure assunti.

Insomma, sembra proprio in salita questa nuova avventura, considerato anche lo stato di agitazione dei sindacati che, per il prossimo 23 settembre, hanno indetto uno sciopero.

Nel frattempo, provate a prenotare un volo da e per la Sardegna nelle prossime settimane. Vi accorgerete che l’unica discontinuità che è stata acquisita è la discontinuità territoriale.

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