DOMANDE SCOMODE – il commento di Aldo Berlinguer, editoriale Unione Sarda

Sempre più stringenti le misure adottate dal Governo per fronteggiare il Coronavirus e sempre più frequenti gli inviti alla responsabilità, all’unità, al sacrificio. Il Premier, parens patriae, parla al Paese con toni amorevoli e rassicuranti. Si sofferma sul senso della vita, delle relazioni umane, della solidarietà.Va quindi in scena la solita commedia dello Stato paterno, caritatevole, che abbraccia i sudditi, piange le vittime, esalta i servitori, i quali diventano inesorabilmente eroi. E così si consuma la litania del day after, del disastro avvenuto. Il momento di stringerci nel dolore e ripartire fiduciosi nel domani.

Ma il domani, questa volta, non è detto che sia migliore. L’emergenza non è finita, anzi, rischia di aggravarsi. Ed i nuovi comandamenti sono lì a dimostrarlo: non uscite, non riunitevi, non abbracciatevi.

Il messaggio è chiaro: non sapendo combattere il virus, isoliamolo. E con lui chi lo ospita. Si realizza così una singolare coincidenza tra malanno e malato, ambedue colpiti dalla stessa sanzione. Un po’ come avviene per detenuti e poliziotti penitenziari, anch’essi (sostanzialmente) costretti a vivere in carcere. La terapia è dunque particolarmente indigesta, soprattutto per l’economia del Paese e per coloro che, non avendo lo stipendio a fine mese, non lo ricevono più.

Obiettivo? Proteggere il sistema sanitario, ormai al collasso. Cioè proteggere chi dovrebbe proteggere noi. Anche qui, il gioco delle parti supera la fantasia di Pirandello.

Purtroppo però è tutto vero. Come per i poliziotti, per i pompieri, nelle stragi o nelle calamità, oggi tocca ai medici. Inevitabilmente, il sistema pubblico, impreparato e disorganizzato, espone i propri esercenti a rischi esorbitanti e quando questi, costretti all’eroismo, soccombono, si aprono le commemorazioni, al participio passato.

Non è tempo di polemiche, dice la politica, serve unità. Così quel tempo non arriva mai. L’italiano, si sa, ha la memoria corta. E poi un nuovo disastro (ricordate il ponte Morandi?) farà dimenticare il precedente. Chiodo scaccia chiodo. E la litania prosegue.

Anche alla politica giova la memoria corta. Rischierebbe di dover rispondere a troppe domande. Dov’era infatti quando, ad ogni elezione, ha promesso a migliaia di amministrativi di occupare gli ospedali, mentre medici ed infermieri si riducevano a vista d’occhio? Quando i giovani laureati erano costretti a migrare all’estero? Quando gli ospedali, in ogni quartiere, servivano a fare occupati (e riscuotere voti) più che a curare malati? Dov’era quando si tagliavano uomini e mezzi che oggi, in tutta fretta,vanno reperiti?

Domande, queste, ancor più scomode nel Mezzogiorno. Qui quanti presidenti e assessori regionali hanno rinunciato a utilizzare il sistema sanitario a fini elettorali? Perché, quasi ovunque, si è calibrata l’offerta sanitaria addirittura al di sotto della domanda rendendola così strutturalmente inadatta a fronteggiare le emergenze? Cosa accadrà se il virus si diffonde al sud, una volta che il Governo avrà già speso tutto il possibile e concentrato uomini e mezzi al centro-nord?

Domande scomode, specie in questa occasione, che inattesa non era. La Cina, a gennaio, ha messo in quarantena decine di milioni di persone. Perché la politica italiana (sino ad inizio febbraio) ci invitava andare allegramente a cena nei ristoranti cinesi? Perché non si sono rese obbligatorie le mascherine, che ancora oggi non si trovano, neppure per i medici?! Perchè lo Stato si è deciso solo ora ad ordinarle, dopo che anche Francia e Germania hanno vietato le esportazioni? Si era accorto il Ministro Bonafede che la “distanza di sicurezza” nelle carceri non esiste?

Domande troppo scomode. Meglio affrettarsi a massicce spese straordinarie in deficit per riparare il colabrodo sanitario e sostituire i fatturati perduti. Così il debito sale, salirà la tassazione e i giovani continueranno a migrare. Usciti dalla pandemia la politica festeggerà. E il Paese? E’ rimasto a casa.

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