Servono buoni maestri. Editoriale di Aldo Berlinguer. L’Unione sarda del 8.2.2024

Servono buoni maestri

Qualche giorno fa, su queste colonne, è apparso un interessante articolo di Nicola Lecca dal titolo “cattivi maestri”, nel quale emergeva una società pervasa di influencer che, attraverso falsi miti, stereotipi, messaggi vacui ed ammiccanti, manipolano il pensiero di milioni di persone. Veniva evidenziato il ruolo ormai marginale dei percorsi formativi “convenzionali” e si evocava il monito di Leonardo Sciascia che, nel noto romanzo “Todo modo”, raccontava di essere stato infettato, anche lui, dalla lebbra delle televisioni le quali, diceva, rendono tutti imbecilli.

Emerge dunque un quadro desolante che ci impone, però, di coglierne le cause le quali, a mio avviso, sono altrettanto preoccupanti e non le possiamo sottacere.

Una di esse riguarda proprio il modo di fare scuola e università le quali, sino ad oggi, salvo rare eccezioni, si sono occupate poco dei loro discenti. Si sono infatti spesso limitate, sin qui, ad erogare prestazioni al pubblico, nell’ottica del puro trasferimento della conoscenza, senza chiedersi fino in fondo a chi la erogano e senza innescare, con i destinatari, un vero e proprio dialogo.

Si è inoltre parlato alla sola parte corticale dei discenti, cioè alla loro coscienza, alla loro razionalità, quando invece già Freud e Jung ci hanno spiegato che la mente umana è “un complesso a tonalità affettive” cioè un coacervo di pulsioni emotive in buona parte disaggregate e non coerenti che però sono il vero motore dei comportamenti umani.

 Non solo, costituiscono esse stesse un potente filtro rispetto alla ricezione degli impulsi esterni che vengono selezionati in base al grado di appagamento che generano. In buona sostanza, l’uomo tende a fare sempre ciò che lo aggrada. Allo stesso modo si ciba e apprende. E sarebbe illusorio pensare che, come esso nutre il proprio corpo, mangiando ciò che gli piace, non voglia nutrire anche la propria mente.

Dunque, scuola e università, se vogliono recuperare un rapporto biunivoco con i loro discenti, devono imparare a solleticare la parte limbica, emotiva e primordiale delle loro menti. Altrimenti accade l’inevitabile: comincia la lezione e gli studenti iniziano a riempire l’aula dal fondo: rappresentazione plastica -questa- della distanza che si sviluppa tra chi eroga il sapere e chi lo riceve. E che dire dei libri fotocopiati? Ce ne preoccupiamo per i diritti d’autore; non, invece, per la funzione, usa e getta, delle fotocopie, che -com’è noto- sugli scaffali ci stanno male.

Il mercato, le multinazionali hanno invece capito bene la lezione, da molto: esse fanno di tutto per carpire le nostre emozioni, per profilarci. Ci bombardano ogni giorno. E qualcuno sta anche tentando (Elon Musk) di scaricare i nostri impulsi cerebrali su una macchina, salvo poi tenere per sé gli esiti dell’esperimento.

In un’epoca di grande manipolazione delle menti, i processi formativi convenzionali rischiano dunque di restare muti, mentre altri ci urlano addosso. E la politica? Soccombe anch’essa. Fake news e populismo la fanno da padroni. Stimolano infatti anch’essi gli istinti ed hanno gioco facile. Già la scienza ci aveva detto che la persuasione raramente si fa con i contenuti. Oggi meno che mai.

Dunque, che fare? Vietiamo la profilazione delle persone, gli algoritmi che sollecitano la psiche ma rendiamo anche scuola e università più attraenti e dialoganti con i discenti, magari riscoprendo anche discipline (come musica ed arte) che li coinvolgano emotivamente.

Qualcuno aveva suggerito di introdurre una buona dose di eros, di Platoniana memoria, nei percorsi formativi. Aveva ragione. E si, ne sentiamo tutti, tanto, la mancanza.

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