Calcio, mercato e democrazia – Editoriale di Aldo Berlinguer – L’Unione Sarda del 31/12/2022

Calcio, mercato e democrazia

Sono molte le lezioni che potremmo trarre dalla recente esperienza di Qatar 2022, a partire dalla conoscenza di un Paese, e della capitale Doha, che probabilmente sino a ieri ignoravamo. I riflettori del campionato mondiale di calcio sono infatti potentissimi ma molto selettivi e non tutto viene illuminato (cosa accadeva nel 1982 in Argentina, con Jorge Rafael Videla?).

Certo, il mondiale è stata una grande festa, forse il più partecipato nella storia, con importanti ritorni economici. 440 milioni di dollari sono andati alle squadre partecipanti ed anche i clubs che hanno “prestato” i propri giocatori sono stati retribuiti. Uno studio della banca olandese Abn Ambro afferma poi che il Pil del Paese che vince il Mondiale cresce in media dello 0,7%; immaginiamo quello del Paese ospitante.

Inoltre, il Qatar è assurto agli onori della cronaca per le forniture di gas ed in particolare di gas naturale liquefatto, che ci aiutano nel diminuire la dipendenza dalla Russia. Ed anche per lo scandalo dei fondi occulti al Parlamento europeo, che si allarga a macchia d’olio. Insomma, in quest’ultimo periodo, la vicenda qatariota ci ha offerto non pochi spunti di riflessione.

Anzitutto sul tema delle materie prime; non solo i combustibili fossili ma che le cosiddette terre rare. Nel 2011 erano infatti solo 14 le materie prime critiche censite, salite a 20 nel 2014, a 26 nel 2017, a 30 nel 2020. In dieci anni il novero di queste criticità è praticamente raddoppiato e la stessa Commissione europea ci dice che queste materie provengono in massima parte da territori egemonizzati dalla Cina, compresi molti territori africani. Da poco Cina e Qatar si sono accordate per quattro milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto ogni anno, per ventisette anni. Ed è nota la crescente intesa tra Cina e Russia su molti fronti, compresa l’Ucraina. Attenzione dunque: affidare la propria dipendenza, per determinate materie prime, ad un sistema straniero per liberarsi dal giogo di un altro, senza debitamente padroneggiare le dinamiche geopolitiche mondiali rischia di tradursi nel gioco della coperta corta: ovunque la si tiri si resta sempre scoperti.

Un’altra lezione riguarda i rapporti che i regimi autocratici intessono con quelli, per così dire, democratici. E qui può essere utile guardare il Democracy Index curato dall’Economist per rendersi conto di chi, nel mondo, può vantare condizioni di democrazia sostanziali (la Norvegia è la prima classificata), chi rimane giusto ai titoli (Stati uniti e Italia, al 22° e 31° posto, definite “democrazie imperfette”), e i tanti regimi autoritari (Qatar, Russia, Cina, Afghanistan, rispettivamente al 114°, 124°, 148° e 167° posto). Difficile l’interazione tra diversi sistemi e impossibile l’utilizzo di omogenei parametri di legalità. Basti pensare alle tante inchieste aperte sulla fornitura di beni e servizi a Paesi autocratici. Oggi ci meravigliamo che da simili Paesi possano arrivare trolleys pieni di denaro contante finalizzati a promuovere la loro immagine e interessi: che sorpresa!

Ma anche un’ultima lezione potremmo apprendere dai campionati mondiali appena conclusi. Nella sola città di Doha sono stati costruiti, in pochi mesi, ben sette stadi, che vanno a sommarsi ad altre strutture in cemento e acciaio che nei prossimi mesi verranno demolite o cadranno in disuso. Si era parlato del primo Mondiale carbon neutral, attento all’ambiente. Tuttavia, il Carbon Market Watch aveva già evidenziato gravi problemi ambientali nell’organizzazione dell’evento, inclusa la massiccia utilizzazione di risorse idriche che quel territorio non è in grado di sostenere.

Si aggiungano infine gli sconvolgenti dati sulle migliaia di vittime, tra gli operai stranieri periti nella frenetica fase di costruzione degli impianti, che tanto allarme hanno generato nell’opinione pubblica internazionale.

Insomma, il Mondiale è stato un grande evento, va riconosciuto, ma i suoi contorni suggeriscono di prestare attenzione non solo al se e quando si fanno le cose ma anche al come e con chi le si fanno. Simili eventi, compresa la costruzione di grandi opere, non devono solo generare crescita economica, dovrebbero essere immaginati come veicoli utili a promuovere -il più possibile- nei Paesi ove si svolgono, un’adeguata transizione democratica, ecologica e culturale.

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