Noi, vittime della strada. Editoriale di Aldo Berlinguer. L’Unione sarda del 26 agosto 2023

Vittime della strada

Ogni giorno, in tanti continuano a morire per incidenti stradali. Ogni tanto, la notizia fa scalpore, come nel caso dei giovani (più di uno) investiti recentemente sui marciapiedi. Viene arrestato il pirata di turno e la politica chiede subito più sanzioni e più educazione per le nuove generazioni. Molti altri casi, meno eclatanti ma non meno gravi, passano sotto silenzio.

Di fatto, nulla cambia. E resta inalterato il tragico modello di mobilità che, da decenni, abbiamo adottato. Così, dopo aver diffuso cellulari che captano l’attenzione dei più giovani sino a renderli dipendenti (ricordate Molly Russell, la ragazzina inglese indotta al suicidio?), vorremmo convincere gli stessi che, durante la guida, il cellulare non si può usare. Un po’ come aver reso intere generazioni dipendenti dal tabacco e poi chiedere loro di smettere di fumare.

Allo stesso modo, si è detto ai giovani che guidare un’auto veloce è sinonimo di virilità e di affermazione sociale; ora pretendiamo che gli stessi viaggino a 30 all’ora, perché così siamo tutti più sicuri.
Le strade poi possono pure cadere a pezzi, magari senza luci e segnaletica stradale, tanto basta porre limiti estremamente bassi che ogni incidente verrà addebitato al guidatore e non a chi avrebbe dovuto rendere la strada più sicura. Anche la sanzione pecuniaria è utile; serve al Comune interessato a fare cassa, senza neppure destinare, come per legge, i proventi a manutenere la viabilità.

Insomma, con piglio paternalistico, vorremmo che i nostri giovani conciliassero nella loro testa ciò che è invece inconciliabile, oltre che frutto di una grande ipocrisia. La verità è che intere generazioni hanno dovuto trascorrere buona parte della loro vita in auto, nel traffico, inquinando l’ambiente e mettendo a repentaglio la vita propria vita e altrui. Devono pure farlo senza distrarsi, parlare con altri, ascoltare musica, neanche togliersi una mosca dal naso. Perché occorre prestare attenzione e rispettare i cartelli stradali. Vorremmo pure
moralizzare chi non lo fa addebitandogli la massima disapprovazione sociale, quando non anche la galera.

Per carità, il modello funziona bene: consente lauti profitti all’automotive, genera gettito fiscale (le odiose accise) e sanzioni pecuniarie in favore del sistema pubblico, esime da responsabilità chi dovrebbe curare le infrastrutture e consente pure di risparmiare sul trasporto pubblico per chi frequenta i locali notturni. Ma chi paga per tutto questo? Sappiamo che questo modello rappresenta la prima causa di mortalità per i giovani in Europa (tra i 5 e i 29 anni) e la prima fonte di inquinamento a livello globale. Va bene così?

Oggi, per fortuna, la tecnologia ci propone una svolta: già esistono infatti dispositivi in grado di impedire a chi ha bevuto di guidare e di passare col rosso. E un recente Regolamento UE impone alle nuove auto, dal 2024, di adottare un limitatore automatico di velocità.

Ma la vera rivoluzione sono le auto volanti, cioè droni in grado di trasportare persone con rischi e tempi estremamente ridotti. Infatti, molti produttori hanno già varato veicoli in via di sperimentazione, i quali consentono di cambiare non solo la mobilità sostenibile ma anche il sistema universitario, quello scolastico, quello sanitario, essendo possibile raggiungere i luoghi di interesse in tempi davvero ineguagliabili.

Pensiamoci, dunque, prima di avviare nuove, gigantesche opere, come il ponte sullo stretto di Messina, perché rischiano di essere obsolete appena inaugurate e costano decine di miliardi di euro; soldi che potremmo invece destinare al trasporto collettivo in mobilità aerostradale.

Lo aveva intuito Henry Ford quasi un secolo fa: “fidatevi un giorno le auto voleranno”. Ci siamo arrivati, basta solo accorgersene. La nuova mobilità deve essere sostenibile e risparmiare vite umane. In troppi, per l’interesse di pochi, hanno già pagato un prezzo davvero troppo alto.

 

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