Quel ponte serve ancora? – Editoriale di Aldo Berlinguer – L’Unione Sarda del 29/03/2023

Quel ponte serve ancora?

Tanto tuonò che piovve. Dopo decenni di promesse, il Governo ha finalmente deliberato la realizzazione del ponte sullo stretto di Messina. Si tratterà di recuperare studi, progetto e Comitato scientifico preesistenti con l’ambizione di aggiornarli tra la fase definitiva e quella esecutiva, così bruciando le tappe per essere pronti a partire, con i lavori, nel 2024. Si immagina una grande infrastruttura (3.330 mt di lunghezza con torri di circa 400 mt di altezza) con una forte caratura iconica; un simbolo di innovazione, bellezza, design italiano. E tale probabilmente sarà, ammesso che alle intenzioni, come raramente accade, seguano fatti concludenti.

Restano, tuttavia, ancora tanti interrogativi. Anzitutto se un’opera del genere, molto opportuna 30 anni fa, resti ancora un buon viatico per il futuro. Il ponte, infatti, non collega la Sicilia con la Capitale, la Campania o la Lombardia ma con la Calabria e da lì, per raggiungere le mete più consuete, le distanze restano ampie e le infrastrutture carenti; per cui, in molti casi, il tragitto rimane impervio, quando non proibitivo.

Né si può dire che il ponte completerebbe il corridoio europeo Helsinky-Palermo, visto che molte altre infrastrutture di collegamento mancano ancora all’appello.

E’ noto inoltre che buona parte della mobilità, da e per le isole, si muove oggi via nave e via etere. Ancor più avverrà in futuro.

Avremo inoltre la mobilità aereo-stradale cioè, banalmente, i veicoli che volano. Non si tratta di uno scenario fantascientifico ma di una realtà ormai concreta che cambierà la vita di molti Paesi visto che non necessita di particolari infrastrutture terrestri, è ecosostenibile, riduce enormemente i tempi di percorrenza ed è in grado di raggiungere anche le aree in più interne ed isolate.

Non solo, una simile modalità di trasporto avrà incredibili ricadute anche su altri settori. Pensiamo ad esempio alla sanità. È di qualche giorno fa l’annuncio di una joint venture tra una impresa produttrice di auto a decollo verticale e un’altra che svolge servizi di soccorso con ambulanze.

Nel Regno Unito, dunque, a breve, potremmo vederne molte che volano: immaginiamo le ricadute che questo avrà sull’organizzazione sanitaria di quel Paese? Perché nessuno in Italia si pone questo problema?

Un’ultima chiosa, forse non secondaria: Eurostat, cui la Commissione europea da molto ascolto, non qualifica come isole quelle che sono collegate alla terraferma mediante una infrastruttura fissa. Non sarà che, proprio un attimo dopo il reinserimento del principio di insularità in Costituzione (art.119) la Sicilia viene a perdere la sua connotazione insulare, con annessi e connessi?

Insomma, non vorrei che i benefici iconici (che senz’altro vi saranno) del nuovo ponte fossero assai minori di quelli che avremmo se investissimo somme di pari importo (circa 7 mld di euro) sulle nuove tecnologie di mobilità marittima, aerea e aerostradale (alimentate ad idrogeno), tramutando l’insularità da deterrente in volano di sviluppo senza compromettere l’ambiente.

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