Sardegna: area interna – Editoriale di Aldo Berlinguer su SardiniaPost

Tutto immagini di un’isola meno che il suo interno. Chi vi accede non si aspetta di trovarsi al centro, guardarsi attorno e non vedere il blu che la circonda. Ma le isole sono anche questo, specie quelle grandi come la Sardegna, con una morfologia densa e accidentata, lontana dal mare.

Al loro interno non si è distanti solo dal mare. Si è distanti da tutto. L’agenzia per la Coesione territoriale da anni individua le “aree interne” misurando la loro distanza dai centri di erogazione dei servizi, ammesso che questi ultimi siano tutti uguali. Ma la sostanza è che le aree interne hanno gravi svantaggi naturali e demografici. Ed un Comitato tecnico a ciò preposto ne ha individuate 72, in tutta Italia, che comprendono, ad oggi, 1077 Comuni. Per loro è stata creata una Strategia nazionale per le aree interne (SNAI) all’interno dell’Accordo di Partenariato per l’Italia 2014-2020 con significative risorse deliberate dal CIPE negli anni 2015-2019.

La fotografia sarda è impietosa. Su 377 comuni, 318 sono ubicati nelle aree interne e vi risiede metà dei sardi. Del resto, l’orografia della Sardegna è nota, con il Limbara, il massiccio del Gennargentu, il monte Albo e le catene del Sulcis a custodirne gelosamente i luoghi e con una densità abitativa ridotta al lumicino, 69 abitanti per km2: terz’ultima in Italia, dopo Val D’Aosta e Basilicata. Se poi si guarda alla mobilità viene davvero da piangere. Per andare da Cagliari a Samugheo o a Seui, ad un centinaio di chilometri, si impiegano, con i mezzi pubblici, nel primo caso tre ore, nel secondo quattro e mezza.

Le aree interne sono dunque tante e si dividono in quattro gruppi: aree cintura, intermedie, periferiche ed ultraperiferiche. Ma scopriamo che quelle ammesse a sostegno economico in Sardegna sono appena due: l’Alta Marmilla ed il Gennargentu-Mandrolisai, con appena 30 comuni e 22 mila residenti. Come se buona parte dell’isola non versasse in condizioni simili. Individuate le aree, occorre poi sottoscrivere i relativi Accordi di programma quadro (APQ) tra le amministrazioni centrali e locali per realizzare gli interventi previsti. E qui, ci accorgiamo che per l’area del Gennargentu l’Accordo di programma è ancora “in condivisione”. Cioè, dopo sette anni, non si è riusciti neppure a mettersi d’accordo sul da farsi.

Siamo dunque alle solite. Grandi propositi, ampissime concertazioni tra enti e territori, stanziamento di fondi pubblici. Ma, all’atto pratico, nessun progetto cantierabile e nessun esito concreto. La strategia delle aree interne è, alla prova dei fatti, una pia illusione, con centinaia di milioni di euro ancora in attesa di essere spesi. Spesso e volentieri neppure il relativo Responsabile Unico di Attuazione (RUA) viene nominato (o resta tale sulla carta) e le aree interne continuano a spopolarsi, in barba alle norme nazionali e all’art.174 del Trattato europeo (TFUE).

Non che altrove vada meglio. E’ di queste ore infatti la notizia che nessuno dei 31 progetti avanzati dalla Sicilia a valere sui fondi del PNRR per l’infrastrutturazione rurale è stato approvato: persi 422 milioni di euro. La Sardegna ha invece esultato perché due dei suoi progetti, per complessivi 13 milioni di euro, sono stati approvati: ma quando saranno realizzati?

Il dubbio sorge spontaneo perché sul web il sito governativo della SNAI riferisce come per le 72 aree interne siano stati firmati solo 62 APQ, istituto, quest’ultimo, definito troppo farraginoso e quindi in corso di riforma legislativa. Da ultimo, 3 milioni di euro sono stanziati per i cd. “Dottorati comunali”, borse di studio sul tema delle aree interne attivate in base a convenzioni tra Comuni ed Università. Il bando è stato prorogato; la proroga è scaduta il 23 settembre scorso. Il sito web non dice altro. Chissà, forse avrà subito la stessa sorte delle aree interne: aspettando la SNAI, sono andate deserte.

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