Diversamente autonomi. Editoriale di Aldo Berlinguer. L’Unione sarda del 9 dicembre 2023

Diversamente autonomi
Si consumano in queste ore gli ultimi tentativi di pacificazione, tra Madrid e Barcellona, sui moti separatisti del 2017. Tutti convengono che la pace si farà perché serve al governo nazionale e perché la Catalogna fa circa 1/4 del pil della Spagna. E Madrid non può farne a meno.
Intanto Barcellona continua nel suo impetuoso avanzamento tecnologico, economico e sociale, facendosi paladina anche di altre comunità, come le isole baleari, che, per quanto
 autonome, sempre catalane sono.
Lo sa bene chi ha visitato la città prima delle olimpiadi del 1992; era tutt’altra cosa. In trent’anni è cambiata radicalmente e appare oggi accogliente, efficiente, civile. Se si chiede ai catalani la ragione di tutto ciò la risposta è netta: lo si deve all’autonomia. Perché quest’ultima non è solo la capacità di contare sul proprio autogoverno (la Catalogna ai catalani o, per noi, la Sardegna ai sardi) ma è sopratutto quell’orgoglio identitario che spinge ad amministrare le proprie risorse meglio dei cugini madrileni.
Sta proprio lì, dicono, quel sentimento identitario che già nella guerra di successione al trono di Spagna (1714) spinse la comunità catalana a resistere alle tentazioni di egemonia straniera. Ed inizia lì quella volontà di autodeterminarsi non solo rspetto alla Spagna ma rispetto al mondo intero.
Non è un caso che nel 2017, durante lo scontro per l’indipendenza, il governo nazionale abbia applicato l’articolo 155 della Costituzione, commissariando la Catalogna e costringendola a chiudere tutte le delegazioni che essa manteneva all’estero. Oggi, ben 21 di esse sono state ripristinate , con l’imminente apertura di nuove sedi catalane in Corea del sud ed in Giappone. Sono infatti circa 200 le persone che lavorano nei dipartimenti relazioni esterne e cooperazione internazionale della Generalitat de Catalunya. E non deve sorprendere che negli anni scorsi Barcellona abbia investito 15 milioni di euro in programmi di cooperazione in Colombia. Qualcosa di incomprensibile per noi e invece molto chiaro per loro: costruzione di relazioni dirette con gli altri Paesi senza mediazione alcuna da parte di Madrid.
Da ultimo, nella giornata sulle disabilità, a Barcellona si è data voce a tutti i diversamente abili, con centinaia di persone che hanno raccontato quali avanzamenti la città ha mosso in questo settore, compresa la crescente inclusione lavorativa di queste persone.
Anche le Baleari, a proposito di insularità, non scherzano: sono state promotrici di leggi ambientali (sullo stop alla circolazione dei veicoli a gasolio, all’utilizzo della plastica monouso, sulla protezione della poseidonia…) in buona parte falcidiate dal Tribunale costituzionale spagnolo; salvo poi dare il buon esempio al parlamento di Madrid, che le ha in parte emulate.
E poi il tema linguistico: colonna portante dell’autonomia catalana, oggi messa in discussione dall’attuale governo delle Baleari che spinge per il doppio canale formativo (in spagnolo e catalano), mentre molti insistono sul canale unico, con almeno la metà dagli insegnamenti in catalano. Dicono: gli studenti devono conoscere ambedue, catalano e spagnolo, non dividersi in classi diverse. E ci chiedono: perché non fate altrettanto, con il sardo, anche voi? Non investire sulla propria lingua non è un pó come abdicare alla propria autonomia?
Insomma, emerge chiara un’idea di autonomia mirata ad eccellere e gestire, meglio degli altri, le proprie risorse ed il proprio destino, piuttosto che chiedere sempre più fondi agli altri per poi non saperli spendere o, peggio ancora, disperderli in mille rivoli, senza progettualità e senza ricadute durevoli sul territorio.
In Sardegna, in Sicilia, ne siamo edotti? E qual’e il progetto autonomistico, se ve n’è uno, che le forze politiche in campo hanno elaborato?
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